Ricomparsa dell’infezione da SARS-CoV-2 tra vaccinati non immunizzati
Premessa
Le campagne vaccinali di massa hanno lo scopo dichiarato di ostacolare fortemente la trasmissione virale, al fine di limitare il più possibile contagi e infezioni, riducendo nel contempo la pericolosità della malattia conseguente all’infezione e mirare così ad un’elevata efficacia nella prevenzione del COVID-19 sintomatico, per evitare ospedalizzazioni, malattie gravi e morte.
Sorprende, perciò, scoprire come in quei contesti ove la vaccinazione di massa è stata condotta su larghissimi strati della popolazione, gli effetti conseguiti siano in larghissima contraddizione con gli obiettivi perseguiti.
Leggiamo le conclusioni cui giungono un gruppo di ricercatori, relativamente al caso israeliano, in un articolo risalente allo scorso luglio, con dati ovviamente antecedenti a quelli della pubblicazione, ove si è “cercato di ritrarre la popolazione di pazienti israeliani, che sono stati ricoverati in ospedale con COVID-19 nonostante la vaccinazione completa“:
Abbiamo scoperto che una grave infezione da COVID-19, associata a un alto tasso di mortalità, potrebbe svilupparsi in una minoranza di individui completamente vaccinati. I nostri pazienti avevano un più alto tasso di comorbilità e immunosoppressione rispetto a individui ricoverati in ospedale non vaccinati precedentemente segnalati con COVID-19.
Nell’articolo di Brosh-Nissimov e colleghi pubblicato su Clinical Microbiology and Infection dal titolo: “BNT162b2 vaccine breakthrough: clinical characteristics of 152 fully-vaccinated hospitalized COVID-19 patients in Israel” si dimostra come su pazienti ospedalizzati per COVID-19 dopo vaccinazione si verifichi un alto tasso di comorbidità, che predispone alla progressione verso una forma grave di COVID-19, e ad un alto tasso di immunosoppressione.
I dati di riferimento sono stati quelli forniti dal registro del Ministero della salute israeliano, fino al 26 aprile 2021, da cui risultava che erano stati ricoverati con COVID-19, confermata con PCR (reazione a catena della polimerasi), un totale di 397 pazienti vaccinati con prima e seconda dose, di cui 234 avevano sviluppato una forma grave di COVID-19.
Un numeroso gruppo di ricercatori (*) ha indirizzato una lettera all’editore pubblicata su The New England Journal of Medicine: Resurgence of SARS-CoV-2 Infection in a Highly Vaccinated Health System Workforce – Ricomparsa dell’infezione da SARS-CoV-2 tra operatori sanitari completamente vaccinati – Nella lettera che riportiamo di seguito in traduzione integrale, si legge tra l’altro:
i dati suggeriscono che l’efficacia del vaccino contro la malattia in forma sintomatica è considerevolmente inferiore rispetto alla variante delta e può diminuire con il tempo a partire dalla data della vaccinazione;
(…) il drammatico cambiamento nell’efficacia del vaccino da giugno a luglio è probabilmente dovuto sia all’emergere della variante delta che alla diminuzione dell’immunità nel tempo.
[Versione integrale italiana]
Nel dicembre 2020, tra i dipendenti della University of California San Diego Health (UCSDH) si è registrato un drammatico aumento delle infezioni da sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2). La vaccinazione con vaccini mRNA è iniziata a metà dicembre 2020; a marzo, il 76% della forza lavoro era stato completamente vaccinato e a luglio la percentuale era salita all’83%. Le infezioni erano diminuite drasticamente all’inizio di febbraio 2021 (1). Tra marzo e giugno, poco meno di 30 operatori sanitari ogni mese risultavano positivi. Tuttavia, in California, il 15 giugno, in coincidenza con la fine dell’uso dei dispositivi di sicurezza quali maschere ed altro e la rapida diffusione della variante B.1.617.2 (delta) che è emersa per la prima volta a metà aprile rappresentando oltre il 95% degli isolati di UCSDH entro la fine di luglio ( Figura 1), le infezioni sono aumentate rapidamente, compresi i casi tra le persone completamente vaccinate. È stata ottenuta l’approvazione del comitato di revisione istituzionale per l’uso di dati amministrativi sulle vaccinazioni e dati di indagine sui casi per esaminare l’efficacia del vaccino mRNA SARS CoV-2.
L’UCSDH ha una soglia bassa per il test SARS-CoV-2, che è innescata dalla presenza di almeno un sintomo durante lo screening giornaliero o da un’esposizione identificata, indipendentemente dallo stato di vaccinazione. Dal 1 marzo al 31 luglio 2021, un totale di 227 operatori sanitari dell’UCSDH è risultato positivo per SARS-CoV-2 mediante il test di reazione a catena della polimerasi quantitativa trascrittasi inversa (RT-qPCR) di tamponi nasali; 130 dei 227 lavoratori (57,3%) erano completamente vaccinati. I sintomi erano presenti in 109 dei 130 lavoratori completamente vaccinati (83,8%) e in 80 dei 90 lavoratori non vaccinati (88,9%).
(I restanti 7 lavoratori sono stati solo parzialmente vaccinati.) Non sono stati segnalati decessi in nessuno dei due gruppi; una persona non vaccinata è stata ricoverata in ospedale per sintomi correlati a SARS-CoV-2.
L’efficacia del vaccino è stata calcolata per ogni mese da marzo a luglio; la definizione del caso era un test PCR positivo e uno o più sintomi tra le persone senza precedente infezione da Covid-19 (vedere l’Appendice Supplementare). L’efficacia del vaccino ha superato il 90% da marzo a giugno, ma è scesa al 65,5% (intervallo di confidenza al 95% [CI], da 48,9 a 76,9) a luglio (Tabella 1). I tassi dei casi di luglio sono stati analizzati in base al mese in cui i lavoratori con Covid-19 hanno completato la serie di vaccinazioni; nei lavoratori che hanno completato la vaccinazione a gennaio o febbraio, il tasso di attacco è stato di 6,7 per 1000 persone (IC 95%, da 5,9 a 7,8), mentre il tasso di attacco è stato di 3,7 per 1000 persone (IC 95%, da 2,5 a 5,7) tra coloro che hanno completato la vaccinazione nel periodo da marzo a maggio. Tra le persone non vaccinate, il tasso di attacco di luglio è stato di 16,4 per 1000 persone (IC 95%, 11,8-22,9).
I vaccini SARS CoV-2 mRNA, BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) e mRNA-1273 (Moderna), hanno precedentemente mostrato tassi di efficacia rispettivamente del 95% e 94,1% (2), nei loro studi clinici iniziali e per il vaccino BNT162b2, sostenuto, sebbene l’efficacia sia leggermente diminuita (84%) 4 mesi dopo la seconda dose (3). In Inghilterra, dove è stato utilizzato un intervallo di dosaggio esteso fino a 12 settimane, Lopez Bernal et al. hanno riportato un’efficacia del vaccino preservata dell’88% contro la malattia sintomatica associata alla variante delta (4). Come osservato da altri nelle popolazioni che hanno ricevuto vaccini mRNA secondo gli intervalli standard di autorizzazione all’uso di emergenza (5), i nostri dati suggeriscono che l’efficacia del vaccino contro qualsiasi malattia sintomatica è considerevolmente inferiore contro la variante delta e può diminuire nel corso del tempo.
Il drammatico cambiamento nell’efficacia del vaccino da giugno a luglio è probabilmente dovuto sia all’emergere della variante delta che alla diminuzione dell’immunità nel tempo, aggravata dalla fine dell’uso delle mascherine in California e dal conseguente maggiore rischio di esposizione nella comunità. I nostri risultati sottolineano l’importanza di ripristinare rapidamente gli interventi non farmaceutici, come il mascheramento indoor e le strategie di test intensivi, oltre ai continui sforzi per aumentare le vaccinazioni, come strategie per prevenire malattie e decessi evitabili e per evitare interruzioni di massa alla società durante la diffusione di questa formidabile variante. Inoltre, se i nostri risultati sulla diminuzione dell’immunità vengono verificati in altri contesti, possono essere indicate ulteriori dosi di richiamo.
(*)
Jocelyn Keehner, M.D.
Lucy E. Horton, M.D., M.P.H.
UC San Diego Health, San Diego, CA
Nancy J. Binkin, M.D., M.P.H.
UC San Diego, La Jolla, CA
Louise C. Laurent, M.D., Ph.D.
David Pride, M.D., Ph.D.
Christopher A. Longhurst, M.D.
Shira R. Abeles, M.D.
Francesca J. Torriani, M.D.
UC San Diego Health, San Diego, CA
Considerazioni finali
Singolare che entrambi questi gruppi di ricercatori dopo aver analizzato il sostanziale fallimento delle campagne vaccinali propongano quale rimedio ulteriori dosi di richiamo
e
il distanziamento sociale continuato, (e) ulteriori vaccinazioni attive o passive.
A noi non possono non sorgere enormi perplessità (non solo in merito all’efficacia delle vaccinazioni di massa e della correlata selezione di varianti virali per vaccino resistenza di cui ci siamo già occupati) relative alla validità, quale strumento di salute pubblica, del green pass che, con ogni evidenza, si sta configurando come un lasciapassare per untori legalizzati.
Ci chiediamo come mai, volendo salvaguardare la salute pubblica, anche senza far riferimento all’enorme capitolo dei danni da vaccino, non si decida di interrompere la campagna vaccinale in atto, imponendo piuttosto screening di massa per tutti, vaccinati e non, mediante tamponi salivari ritmati dai tempi di incubazione della malattia estendendo nel contempo lo schema terapeutico individuato e praticato da quelle organizzazioni di operatori sanitari che praticano la terapia domiciliare precoce con enorme successo sin da marzo del 2020 in alternativa alla “non cura” rappresentata dal protocollo ufficiale, efficacemente riassunto dall’espressione, tachipirina e vigile attesa.
Un particolare ringraziamento alla dott.ssa Loretta Bolgan per le indicazioni bibliografiche
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