SUDDITI O CITTADINI SOVRANI?

Dicembre 30, 2018 0 Di Francesco Cappello

All’ esercizio  della sovranità monetaria abbiamo rinunciato già nel 1981.

Da allora, per iniziativa, in particolare, di Andreatta, ministro del Tesoro, e di Ciampi, governatore della Banca D’Italia, lo Stato italiano è stato ridotto alla stregua di un qualsiasi privato, che per finanziarsi “compra” le risorse  di cui necessita sui mercati finanziari.
Questa decisione ha cambiato la storia economica e politica del nostro paese e si configura, come denuncia l’avvocato Marco Mori, quale attentato alla personalità giuridica dello Stato.
Gli elementi fondanti uno Stato sono essenzialmente tre: territorio, popolo e sovranità. Rinunciare alla sovranità monetaria comporta inevitabilmente un sempre più parziale esercizio della sovranità economica e politica. Lo Stato non può sopravvivere a una tale menomazione e infatti la nostra costituzione (art.11) prevede tutt’al più limitazioni di sovranità finalizzate ad obiettivi di pace e giustizia.

Ecco alcune delle sue conseguenze:

1. dall’81 al ’92 il rapporto debito/PIL ha subito un raddoppio (dal 60% al 120%). Oggi supera il 130%;
2. iniziano nel tentativo di controllarlo manovre finanziarie correttive, lacrime e sangue, di cui capostipite fu quella Amato, pari a 100mila miliardi di lire, accompagnata dal primo prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani (bail in);
3. offensiva culturale e tagli paurosi a carico di tutti i servizi pubblici;
4. svendita a prezzi di magazzino delle nostre partecipazioni statali;
5. impossibilità per lo Stato di intervenire rispetto alle grandi emergenze del paese come il dissesto idrogeologico del territorio e il recupero, la tutela e la manutenzione del nostro grande patrimonio culturale artistico monumentale.

Amato e Prodi hanno posto le basi per il radicale spoglio della sovranità e dell’indipendenza della nostra Repubblica in favore di quelle autorità private le cui scelte e decisioni sono inappellabili ai sensi dell’ Articolo 130 del TDL (ex articolo 108 del TCE)
“Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.”

La BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità:

Articolo 128
(ex articolo 106 del TCE)
La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.

Nel 2006 durante la battaglia per il referendum costituzionale Teresa Mattei (la più giovane eletta all’Assemblea Costituente) pronuncia queste parole davanti agli studenti del suo antico Liceo Michelangelo a Firenze: “Nell’articolo 1 della Costituzione si dice: “la sovranità appartiene al popolo”, ed è questa la cosa più importante che noi dobbiamo difendere. La sovranità è nelle mani nostre, nelle mani del popolo e paritariamente in quelle di ogni cittadino; con questo la Repubblica ci ha fatto diventare cittadini e non sudditi. Il più grande monumento, il maggiore, il più straordinario che si è costruito in Italia, alla libertà, alla giustizia, alla Resistenza, all’antifascismo, al pacifismo è la nostra Costituzione.”

Di recente G. Zagrebelsky, ex presidente della Corte costituzionale (2004), afferma che se oggi uno Stato può fallire è perché abbiamo ceduto la sovranità monetaria.

Ascoltiamolo:
“Si parla di fallimento dello Stato come di cosa ovvia.
Oggi, è “quasi” toccato ai Greci, domani chissà. È un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilità dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, sì, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficoltà ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o “consolidare” il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il “dio in terra”, ma pur sempre un “dio mortale”, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioè di diritto privato.
Se oggi diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo fondamentale — la sovranità — è venuto a mancare. Di fronte a lui si erge un potere che non solo lo può condizionare, ma lo può spodestare. Lo Stato china la testa di fronte a una nuova sovranità, la sovranità dei creditori“.

Siamo stati messi nelle mani (in balìa) dei mercati finanziari.
Gli articoli “economici” della Costituzione, in particolare dal 41 al 47 dispongono che sia la Repubblica a controllare e coordinare il credito e il mercato e non viceversa. Per la nostra Costituzione l’economia è libera solo dove non sia in contrasto con l’interesse pubblico.

Oggi però, lo Stato è subordinato alle decisioni della BCE che, con l’art 104 del TrattatoUE, raccomanda e impone politiche fiscali di austerità; di conseguenza insieme alla cessione di Sovranità monetaria la UE ci ha imposto il pareggio di bilancio che zelantemente abbiamo già provveduto a inserire nella nostra costituzione (art 81).
Tale articolo fa a pugni con l’art 47 che tutela il risparmio. E’ evidente, infatti, che per permettere il risparmio lo Stato deve emettere moneta in deficit.
Se vuole consentire il risparmio deve quindi mettere in circolazione più moneta di quanta ne recupera con la tassazione, contrariamente a quanto preteso dal pareggio di bilancio.

Sentite questa dichiarazione del ministro della giustizia Orlando:

“Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di “bypassare” completamente le democrazie nazionali. Io faccio soltanto due esempi. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto.”

e ancora

“Faccio un esempio. La modifica – devo dire abbastanza passata sotto silenzio – della Costituzione per quanto riguarda il tema dell’obbligo di Pareggio di Bilancio non fu il frutto di una discussione nel Paese. Fu il frutto del fatto che a un certo punto la Banca Centrale Europea, più o meno – ora la brutalizzo – disse: “O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci saranno gli stipendi alla fine del mese”. Io devo dire che è una delle scelte che ho fatto, di cui mi vergogno di più. Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica. Non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui si arrivò a quella modifica di carattere costituzionale“.

Se ricordate, anche il senatore M. Garavaglia ha raccontato come il governo Monti sia stato imposto agli italiani, dietro la minaccia di sospensione dell’acquisto dei nostri titoli.
Naturalmente ci si chiede come mai la magistratura non indaghi affermazioni di tale gravità da parte di un ministro e di un senatore;
ma veniamo ad un aspetto della riforma costituzionale di cui non si sente parlare tanto facilmente e che riguarda due polpette avvelenate, inserite nei nuovi art. 55 e 117 che chiaramente subordinano il nostro ordinamento a quello dell’UE.

Con l’art. 117 “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali…” tutta la legislazione europea deve uniformarsi alle norme dell’UE.

Con il nuovo art. 55 si capisce perché il Senato (che si vuole composto da non eletti) non sia stato stato del tutto abolito. Il suo nuovo compito sarà infatti quello di diventare l’organo di controllo dell’attuazione della normativa della unione europea:

“…Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori….”

nel nuovo art. 117 si afferma che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali.

Lo scopo è quello di subordinare il nostro ordinamento a quello dell’Unione Europea. Una cessione della sovranità giurisdizionale. Con quali conseguenze?
Eccone una esemplificazione:
la riforma costituzionale prevede, sempre all’art.117 comma 1 della Costituzione, che la parola “comunitario” sia sostituita dalle parole “ dell’Unione Europea”, in pratica un cavallo di Troia giuridico che sottometterebbe fin dall’interno della nostra Costituzione tutte le nostre leggi al trattato di Lisbona e a tutti quei trattati europei insostenibili che ne sono scaturiti: Fiscal Compact, M.E.S., ecc. e tutti gli altri che verranno T.T.I.P. – C.E.T.A – T.I.S.A.

In “Un paese non è un’azienda” Paul Krugman racconta:
“Nel 1930, quando il mondo stava entrando in depressione, John M. Keynes invocò una forte espansione monetaria per alleviare la crisi e suggerì l’adozione di una politica basata sull’analisi economica anziché sui consigli di banchieri legati al golden standard o di industriali che volevano alzare i prezzi riducendo la produzione. “ perché – anche se nessuno ci crederà – l’economia è una materia tecnica e difficile.” Se i suoi consigli fossero stati seguiti, si sarebbero potute evitare le peggiori devastazioni della grande depressione.”

Già pubblicato in Gli Stati Generali