Scopo dell’economia è la risposta ai bisogni interni

Febbraio 27, 2019 Off Di Francesco Cappello

La transizione possibile verso una Economia per il Bene Comune

Lo stato delle cose

I vincoli economici nei quali siamo intrappolati ci costringono a massimizzare le esportazioni. Rinunciando all’esercizio della sovranità monetaria, ci siamo, infatti, costretti all’uso esclusivo di moneta a debito; di conseguenza, l’unico modo di poterci procurare valuta internazionale, limitando la necessità di indebitarci sui mercati finanziari dei capitali, è attraverso la esportazione di merci e servizi sui mercati esteri. La nostra bilancia commerciale, malgrado la permanente penalizzazione del tasso di cambio, ipervalutato rispetto alle nostre esigenze, risulta all’attivo per un valore che si aggira intorno ai 50 mld di euro anche perché la domanda di prodotti esteri è calata in ragione del diminuito potere d’acquisto degli italiani. A rendere possibile il successo competitivo delle nostre esportazioni, insieme alla tradizionale qualità della nostra produzione è la ormai permanente svalutazione interna della nostra economia e la deflazione salariale che hanno come effetto collaterale il crollo della domanda interna di prodotti e servizi nostrani; mentre la produzione italiana risulta sempre più inaccessibile a strati crescenti della popolazione i prodotti di scarsa qualità low cost della globalizzazione sono sempre più richiesti e consumati.
È, allora, più che mai indispensabile chiederci di quale modello di sviluppo necessitiamo e in quale direzione dirigere gli investimenti e quindi la crescita, e con quali strategie finanziarie. 

Servizi pubblici di qualità per tutti, salvaguardia, tutela e fruizione dei beni comuni, conquiste sociali, civili e culturali, protezione della salute e dell’ambiente, efficienza della rete idrica, della rete dei trasporti locali e nazionali, buon funzionamento della giustizia, pieno impiego, devono tornare a essere considerati il risultato virtuoso di un sistema economico. La misura tangibile del suo successo.

La ricchezza individuale e sociale, come prevista dalla Costituzione, sta in servizi pubblici efficienti e di qualità per tutti: sanità, istruzione, ricerca, trasporti, giustizia, che insieme garantiscono una forma di salario indiretto, così come le varie forme di previdenza assicurano un salario differito, accanto e in aggiunta al salario diretto. Queste forme di integrazione delle remunerazioni individuali facilitano la realizzazione dei risparmi privati (1). Servizi di cura progettati perché siano accessibili e fruibili dalla totalità della popolazione, nessuno escluso (welfare universale); allo stesso modo quando ci riferiamo ai servizi di cura dell’ambiente e del territorio, in senso ampio, è necessario tornare alla tutela, manutenzione, ricerca e organizzazione di una fruizione pubblica ottimale del patrimonio culturale, storico, artistico, paesaggistico e naturale del nostro paese. Necessitiamo tornare all’art. 9 della Costituzione

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. 

e promuovere una decisa inversione di tendenza tornando a finanziarlo come e più dei paesi europei con cui normalmente ci confrontiamo. Siamo italiani non per lignaggio o sangue. Ciò che ci unisce e deve continuare a farlo è la cultura che si incarna, in mille forme diverse, nel nostro territorio

La ricchezza sta nella capacità di produrre non semplicemente merci ma beni e servizi di qualità in modo da salvaguardare la salute delle persone e la loro qualità di vita che risultano in stretto rapporto con la cura e la valorizzazione degli ecosistemi culturali e naturali che abitano. Importante, perciò, è produrre beni, evitando la realizzazione di merci inutili o addirittura dannose che comportano sprechi di ambiente e di risorse pregiate, non rinnovabili.

I governi e i parlamenti che si sono succeduti negli ultimi trent’anni hanno voluto, al contrario, farci credere come gli interventi di cura della persona e del territorio fossero troppo costosi, un lusso insostenibile, sino a convincerci della necessità di ridurre al minimo l’intervento in tali settori “improduttivi“. È così che abbiamo abbandonato l’idea e la pratica della tutela e della prevenzione mentre abbiamo lasciato che ci penetrasse il virus della propaganda che ha diffuso l’offensiva culturale contro tutto ciò che è pubblico insieme all’idea che se la pubblica amministrazione, o i servizi pubblici in generale, funzionano male è a causa di quell’uno per cento di impiegati assenteisti e della corruzione dilagante, mettendo sistematicamente in secondo piano l’effetto deleterio dei tagli di risorse finanziarie e del personale impiegato necessario. Oggi l’eta media dei dipendenti pubblici è vicina ai 60 anni; a causa del blocco del turnover il loro numero è pari alla metà di quelli che sarebbero effettivamente necessari. Allo stesso modo, le normative a tutela del territorio e del patrimonio sono ormai percepite dalla cittadinanza come impedimenti allo sviluppo di cui è bene liberarsi (si pensi alle leggi del tipo sblocca-Italia). 

La finanziarizzazione a fini speculativi del sistema economico ha avuto come effetto collaterale l’abbandono della produzione reale e la predazione dei beni esistenti (privatizzazioni e commercializzazione del demanio (2)). Si è concretato un attacco sistematico alle politiche keynesiane e allo Stato-Comunità inscritte nella Costituzione attraverso la sottrazione sistematica della proprietà pubblica, le privatizzazioni e le svendite del patrimonio fine ultimo della messa in circolazione della retorica degli Stati indebitati. 

Danni enormi provocati dall’incuria del territorio, dalla sua mancata manutenzione sino al conseguente dissesto idrogeologico; si pensi, solo per fare un esempio, alle conseguenze nefaste dell’abbandono del territorio montano o al mancato intervento sul patrimonio artistico, monumentale, culturale e paesaggistico italiano, unico al mondo per il suo indissolubile rapporto con l’ambiente risultato di una stratificazione determinatasi nel corso dei secoli. Per dare un futuro al paesaggio, reso fragile dai mille processi che ne negano conservazione e riproduzione, e costruire ponti tra passato e presente è necessario tornare a investire attraverso grandi piani nazionali di intervento mobilitando energie e competenze, attualmente sprecate, in grado di ricostruire e reinventare il futuro che ci è stato sottratto. Siamo un Paese a grandissima vocazione turistica; possiamo procurarci valuta estera curando e valorizzando il nostro patrimonio storico, artistico, culturale e naturale ma unicamente nei modi indicati dalla Costituzione.

Necessarie, perciò, cura e messa in sicurezza del territorio e dell’ambiente, cura delle persone e della loro evoluzione spirituale. La geofisica del nostro territorio è generalmente caratterizzata da terreni argillosi o sabbiosi spesso incoerenti e non stabilmente ancorati alla roccia. Il nostro è uno dei Paesi più franosi al mondo. Circa i 2/3 delle frane in tutta la Ue sono italiane. Territori fragili, densamente abitati, con carenza di pianificazione e repentina scomparsa delle manutenzioni. Nel 42% dei centri abitati, in ottemperanza ai vincoli del patto di stabilità, non viene svolta regolarmente la manutenzione ordinaria di fossi e corsi d’acqua, canali di drenaggio e scolo, malgrado si sappia che 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni. Alla pericolosità da frana si aggiunge quella idraulica. Il Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale fornisce i dati degli indicatori nazionali di rischio per frane e alluvioni relativi a popolazione, imprese, beni culturali e superfici artificiali, elaborati sul territorio nazionale con l’obiettivo di fornire un importante base conoscitiva a supporto delle politiche di mitigazione del rischio.  Ci limitiamo a monitorare ma non interveniamo adeguatamente (3). 

Le politiche di austerità dell’Eurozona soffocano chi vive di domanda interna, come le piccole e medie imprese, gli artigiani e i piccoli agricoltori, mentre avvantaggiano i grandi esportatori che pagano meno lavoratori e fornitori. Nell’Eurozona, gli esportatori hanno preso il controllo; le direttive europee sono dettate da lobbies che orientano decisioni e scelte.
I tanti terreni lasciati in stato di abbandono, la riduzione del suolo coltivabile a causa dei processi di urbanizzazione selvaggia sono potuti accadere a causa del sempre minore valore attribuito alla terra. La grande distribuzione è riuscita a inondare il nostro mercato interno di prodotti di importazione a discapito della produzione locale che, nel tentativo di vincere la concorrenza, ha sacrificato la qualità della produzione pur di abbassarne i costi a discapito della tutela dell’ambiente, dei lavoratori e della salute dei consumatori. Alla grande distribuzione va sino al 60% del valore dei prodotti commercializzati, mentre all’agricoltore anche meno del 20%. Questa gara al ribasso ha condotto i nostri coltivatori ed allevatori a cedere la propria produzione a prezzi al limite dei costi di produzione e a scaricare in termini di deflazione salariale sui lavoratori e sull’ambiente le esternalità negative di un tale sistema.
Gli agricoltori sono stati costretti a preservare la qualità destinando la propria produzione ai mercati esteri. L’effetto è stato quello di rendere inaccessibile al consumatore medio italiano i prodotti nostrani, favorendo l’ingresso in Italia dei prodotti low cost e di scarsa qualità della globalizzazione; ma il processo di inversione rispetto alle importazioni della globalizzazione è già cominciato. Molte terre incolte e abbandonate sono nuovamente coltivate dai giovani alla ricerca di cultivar locali, grani antichi a bassissimo tenore di glutine, varietà da tempo abbandonate, che coltivano secondo metodi naturali e che commercializzano con vendita diretta al consumatore nei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e in mercati contadini locali (4). Sono stati attivati in questo modo più di 3 milioni di posti di lavoro nell’agricoltura che ci hanno permesso di sostituire 40 miliardi di importazioni sul primario, di derrate alimentari che si sommano all’aumento di esportazioni realizzate in generale dalle altre imprese, con un miglioramento complessivo di 50 miliardi della nostra bilancia commerciale.
Anche queste micro imprese agricole non producono motivate dalla massimizzazione del profitto quanto dal desiderio di offrire prodotti naturali e cura del territorio agricolo (si parlerà sempre meno di biologico poiché le tecniche produttive basate su un uso massiccio dei combustibili fossili, antigrittogamici, concimi chimici, meccanizzazione spinta, dovranno essere fortemente disincentivate, la loro pratica diverrà proibitiva)(5). Tutto ciò potrà facilitare una fidelizzazione del consumatore italiano ai prodotti di qualità, made in Italy, essenziale alla sostenibilità e alla tenuta delle economie locali e a quella nazionale nel segno di una riconquista della sovranità alimentare perduta, attraverso una consistente sostituzione di importazioni con produzioni nostrane e di qualità, catalizzate dall’uso di monete complementari e locali. In questo modo si implementa un modello economico cooperativo-solidale, sostitutivo di quello consumistico-individualista.
Altra potente risorsa da tornare a valorizzare ed incentivare è la sapienza e la competenza artigianale che ci contraddistingue, dalle sue forme più tradizionali sino a quelle più recenti dell’artigianato digitale che danno vita a prodotti inimitabili, non di serie, baluardo potente contro i processi di globalizzazione e antidoto efficacissimo alla sottrazione di lavoro dovuto all’automazione dei processi produttivi.  

Non sono più rinviabili i piani di intervento di riqualificazione urbana, ristrutturazione energetica di edifici pubblici e privati, piani di infrastrutturazione digitale a supporto delle nuove tecnologie: stampa 3D e 4D, internet delle cose, blockchain, ecc.. Ogni edificio, pubblico o privato può divenire unità non solo di consumo ma anche di produzione dell’energia che potremo scambiarci in una internet dell’energia (smart grid) come oggi facciamo con l’informazione. Tali piani, nel loro complesso rendono l’idea complessiva di quanto lavoro utile si manchi di fare e che, in un sistema economico prevalentemente rivolto a costruire risposte ai bisogni interni, potrebbe finalmente essere avviato portando alla piena occupazione le nostre energie e la applicazione delle nostre competenze. Abbiamo lavoratori con competenze potenzialmente capaci di produrre risposte adeguate ad ogni bisogno interno ma impossibilitati a farlo perché nell’attuale condizione “non ci sono i soldi” ovvero mancano le risorse finanziarie necessarie al finanziamento della loro attività. 

È oltretutto necessario gestire l’impatto del cambiamento climatico nell’immediato, a breve e lungo termine, per affrontare ed adattarsi agli eventi di più intensa precipitazione, causa di inondazioni in territori a bassa resilienza. Le ondate di calore avranno maggiore durata ed intensità. Servono perciò mappe del rischio locale (zone a maggiore vulnerabilità), ad uso degli enti governativi locali, per giungere a piani secondo le indicazioni del piano di adattamento nazionale.

La permacoltura della foresta giardino

Serve incentivare una radicale e strutturale rivoluzione agricola. 

Un tempo non molto lontano, la terra era ricoperta di foreste. Boschi e foreste, si sa, non hanno alcun bisogno dell’intervento dell’uomo per crescere sane e rigogliose. In un ecosistema naturale non c’è lavoro umano, non ci sono rifiuti. È importante riflettere sul fatto che l’energia che siamo costretti ad usare nei sistemi agricoli attuali serve a impedire che la natura torni al suo stato «selvaggio». La terra è capace di produrre una grande diversificazione biologica e grandi masse di materia organica non necessitando di qualcuno che la ari, la semini, la inondi di anticrittogamici e insetticidi che violentano la vita, rischiando di provocarne la sterilizzazione permanente.

La foresta giardino (6) è un ecosistema agricolo forestale che ha bisogno di pochissimo lavoro. L’agricoltura del futuro prossimo è già in fase di avanzata sperimentazione. Attenta alla microbiologia del suolo mette al bando la lavorazione meccanica della terra che violenta i suoli agricoli. E’ doppiamente produttiva rispetto ai metodi di coltivazione intensivi, monocolturali, che usando veleni, concimi chimici e meccanizzazione spinta, violentano gli ecosistemi. 

La foresta giardino è capace di una enorme diversificazione produttiva. Valorizza la forza ecosistemica propria della natura. Cura le patologie inferte alla terra dalla violenza precedente. 

La progettazione-strutturazione di un ecosistema agricolo imita la struttura degli ecosistemi forestali. Quel che si fa è studiare i principi e le leggi degli ecosistemi naturali e convertirli dirottandoli verso produzioni edibili. Quando l’ecosistema agricolo giunge a maturazione gli interventi lavorativi sono quasi esclusivamente limitati alla raccolta. Si tratta di attivare un processo naturale accompagnandolo e catalizzandolo come nel caso delle oasi nei deserti nordafricani, generalmente pensate come presenze naturali, sono in realtà il prodotto sapiente della interazione tra uomo e natura del luogo (7).

Bisogna sognare concretamente la sostituzione delle coltivazioni fondate sulla chimica, sull’uso esclusivo di combustibili fossili in tutte le operazioni colturali, sulla messa in schiavitù degli ecosistemi, sulla “mortificazione” dei suoli sostituendoli con una estensione di ecosistemi agricoli forestali proporzionale alla popolazione. La foresta giardino imita gli strati naturali ma usa un numero enorme di specie commestibili. La produzione avviene su più strati contemporaneamente come se si avessero più campi uno sopra l’altro. Il sottobosco è coperto da ortofrutta, frutta e verdura. Altrettanto ricco è il soprastante livello degli arbusti e un pò più su quello degli alberi da frutto. Ancora più in alto alberi d’alto fusto: castagni, noci, ma anche altre tipologie che, seppure non producano cibo sono necessari in quanto svolgono funzioni essenziali al riciclo dei nutrienti.  Le foreste che fino a un tempo non lontano ricoprivano il nostro pianeta si sono coevolute per milioni di anni con il clima terrestre. Gli ecosistemi agricoli forestali possono restituire alla terra paesaggi perduti e con essi nuova speranza di vita. Essi appaiono in antitesi completa con la logica estrattiva che ispira il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 il 

testo unico in materia di foreste e filiere forestali. (GU Serie Generale n.92 del 20-04-2018)

Tali interventi presuppongono, naturalmente, piani di finanziamento a lungo termine (8).
Ridurre e gestire il rischio sarebbe un investimento strategico per ridare un futuro al Paese, per sbloccare economie e lavoro ed evitare lo spreco di territorio, cultura e bellezza. Esempi di foreste edibili si sperimentano anche nelle città (9). C’é anche chi, come l’ingegnere della Toyota, Shubhendu Sharma, ha fatto  della capacità di rigenerare piccoli boschi in tempi rapidi una attività standardizzata e condivisa (opensource) (10). 

Rifiuti o Risorse?

È possibile una alternativa, poco nota, all’incenerimento e al conferimento in discarica per tutti quei rifiuti non riciclabili né recuperabili che abbiano una matrice organica. È possibile trasformare tale tipologia di rifiuti in gas di sintesi (syngas) con alto potere calorico (adatto alla cogenerazione di energia elettrica e calore) e char (inerti + carbone (11)). Il processo è noto come pirolisi (12). Si tratta di una decomposizione molecolare termochimica che si svolge in assenza di ossigeno. 

Tale assenza, nel processo, evita la formazione di inquinanti quali diossine, furani, ossidi azoto e di zolfo e polveri sottili. Questo consente di utilizzare il syngas per la cogenerazione nel pieno rispetto dell’ambiente. Molti diversi brevetti utilizzano la pirolisi in impianti con potenzialità energetiche piccole e grandi. Ciò è reso possibile dalla grande varietà di matrici organiche utilizzabili e dalle diverse possibilità di combinazione dei parametri che governano la pirolisi che è realizzabile in impianti più o meno grandi, utilizzabili su scala domestica o di piccola o grande azienda o per la gestione di insieme dei rifiuti urbani.
La scelta della decomposizione termochimica, ci permetterebbe di recuperare quasi integralmente i rifiuti, che costituiscono la metà circa della nostra produzione,  la quale attualmente genera enormi problemi di inquinamento, costi di smaltimento, spreco e ingombro. Si capisce, allora, come sarebbero velocemente ammortizzabili i costi degli investimenti necessari, se a fornire gli impianti fossero direttamente le amministrazioni pubbliche dello Stato. Ulteriori vantaggi ne avrebbero i cittadini i quali, conferendo la loro parte di rifiuto da trasformare in risorsa, ne otterrebbero dei buoni (voucher) da spendere a conguaglio dei consumi energetici. Si consideri, infine, che aumenterebbe, in tal modo, la possibilità di sottrarre alle mafie locali la filiera dei rifiuti.
Un ulteriore cambiamento strutturale si delinea in tutti quei casi in cui un numero crescente di persone preferiscono comprare (ed è sempre più facile farlo), l’accesso a beni e servizi piuttosto che il loro possesso. Piuttosto che l’acquisto di un automobile compro un abbonamento ad un servizio messo a disposizione dall’amministrazione comunale o mi iscrivo utilizzando una applicazione apposita a un servizio di carpooling (13).
La Xerox, ad esempio, è stata una azienda pioniera nel proporre il servizio di fotocopisteria invece della vendita di macchine fotocopiatrici con tutte le conseguenze positive facilmente immaginabili in termini di disincentivazione dei fenomeni di obsolescenza programmata e percepita. Nell’interesse dell’azienda, infatti, le macchine sono progettate affinché durino il più a lungo possibile e la loro manutenzione risulti estremamente facilitata e ridotta al minimo indispensabile. 

Bilancio del bene comune e reti di mutuo credito

Solo il ripristino della sovranità monetaria può permetterci il finanziamento di investimenti mobilitando il lavoro fin qui sprecato insieme a quei fattori produttivi inespressi necessari alla costruzione di ricchezza materiale ed immateriale. Dobbiamo virare decisamente dirottando l’economia a rispondere primariamente ai bisogni interni. Restituire il primato alla domanda interna, intesa in senso ampio, includente cioè le produzioni pubbliche, a partire dalla salvaguardia e valorizzazione delle nostre ampie risorse, arrestandone lo spreco ormai sistematico. 
Dovremo al contempo tendere alla sostituzione di larga parte dei prodotti di importazione che si debbono pagare in divisa internazionale. La nuova stagione delle guerre commerciali fatta di dazi e protezionismo iniziata dalla amministrazione Trump dice della nuova attenzione verso la ricostruzione della domanda interna quale nuova tendenza, primo stadio di superamento critico e fattuale degli aspetti più negativi del processo di globalizzazione. 

Sostituire le importazioni dovrebbe diventare un obiettivo prioritario raggiungibile anche utilizzando le monete locali nella forma di reti di mutuo credito o circuiti di credito commerciale per spiazzare i prodotti della globalizzazione a tutto vantaggio delle economie locali riuscendo nel compito di frenare la tentazione degli acquisti all’estero che oltre un certo valore rischierebbero di ostacolare gli investimenti sul territorio.

Ricordiamo che sono 4 milioni e mezzo le micro imprese che non fanno praticamente profitto e non seguono la logica finanziaria dominante; scegliendo piuttosto di controllare risorse reali esse ci stanno indicando (come afferma A.Galloni) un altro modello economico;  sono imprese già fuori dal capitalismo che occupano, peraltro, la maggioranza della forza lavoro italiana. Di enorme interesse le esperienze di fabbriche senza padroni indicanti anch’esse una prospettiva tutta al di fuori della logica corrente (14).
Queste imprese anziché essere vessate e contrastate con tassazioni mortificanti andrebbero incoraggiate concretamente, inserendole all’interno di circuiti di credito commerciali regionali e nazionali per rafforzarle, con vantaggi legali e organizzativi. Potrebbero così far uso di una moneta non capitalistica ovvero non accumulabile né convertibile; una moneta quale semplice unità di conto, utilizzabile a mediazione degli scambi secondo la tecnica della camera di compensazione; circuiti in grado di includere al loro interno le aziende e i loro dipendenti, i liberi professionisti, i cittadini comuni e le amministrazioni comunali, comprese quelle associazioni la cui attività risulti riconosciuta come produttrice di bene comune dalla comunità di riferimento. 

In prospettiva le aziende potranno essere incentivate alla produzione e massimizzazione della produzione di bene comune includendole in una rete economica in grado di avvantaggiare e incoraggiare i comportamenti virtuosi delle aziende premiandole in proporzione al bene comune che sono in grado di produrre.

E’ questo il problema che si pone il movimento per l’Economia del Bene Comune (EBC) (15), un movimento che, in prima istanza, è stato soprattutto un movimento di imprese.
Il suo obiettivo principale è sintetizzabile nel proposito di rendere competitive merci e servizi che contribuiscono alla massimizzazione del bene comune. Esso mira, cioè, a costruire un sistema di relazioni fra aziende, cittadini e pubblica amministrazione che si propone di ridirigere la grande forza, propria dell’efficienza e dell’organizzazione aziendale, verso la costruzione di bene comune. Studia e sperimenta, a tal fine, le condizioni che permettono ai propri prodotti di qualità eco-sociale di risultare più convenienti sul mercato rispetto alle produzioni ottenute a basso costo, schiavizzando i lavoratori, non preoccupandosi di evitare inquinamento e diffusione di malattie come è accaduto, in special modo, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 quando hanno cominciato ad affermarsi le condizioni economiche che hanno reso possibile la globalizzazione economica. 

L’EBC definisce un sistema economico alternativo, basato sulla cooperazione all’interno di reti di imprese, professionisti, enti pubblici e cittadini fondato sui valori che sostengono il bene comune. L’economia del bene comune rappresenta una leva e uno strumento per il cambiamento in ambito economico, politico e sociale – la riaffermazione di una economia che, in piena sintonia con la Costituzione, sviluppi e produca valore per la comunità.  

Per sviluppare e produrre valore, è importante definire i comportamenti virtuosi delle aziende e delle amministrazioni inducendole a operare, se possibile, anche al di sopra degli standard minimi di legge. A questo scopo è necessario misurare e monitorare, in modo efficace, secondo criteri condivisi, i comportamenti e i risultati delle loro scelte operative al fine di incoraggiare concretamente i comportamenti virtuosi premiando le aziende in proporzione alla loro capacità di produrre bene comune disincentivandone, allo stesso tempo, i comportamenti negativi.
In pratica, si tratta di utilizzare uno strumento di misura che riesca a stabilire quale sia lo stato dell’azienda nel suo continuo percorso di miglioramento verso comportamenti positivi verso i portatori di interesse delle imprese.
La misura della capacità di generare bene comune, si effettua attraverso una analisi rigorosa di bilancio della qualità e della virtuosità dell’azienda. Lo strumento atto a misurare e monitorare l’operato e le scelte delle aziende è il bilancio del bene comune (BBC).

In pratica, insieme al tradizionale bilancio finanziario (entrate – uscite), le aziende aderenti al circuito dell’EBC, compilano il bilancio del bene comune che consiste, nella misura del valore prodotto dall’azienda verso i suoi portatori di interesse. I valori misurati: Dignità dell’essere umano; Solidarietà; Ecosostenibilità; Equità sociale; Cogestione trasparente e democratica vengono declinati nei confronti dei portatori di interesse delle aziende: fornitori, finanziatori, dipendenti/titolari, clienti/aziende partner, contesto sociale, territorio, popolazioni, generazioni future, società civile e natura generando 15 indicatori che permettono la misurazione della bontà dell’azienda sintetizzata infine in un punteggio rigoroso sulla base del quale le aziende ricevono vantaggi legali risultando così incentivate alla massimizzazione del bene comune prodotto. Il profitto non è più l’obiettivo principale dell’attività produttiva. L’equilibrio finanziario dell’azienda è ridimensionato a strumento finalizzato all’obiettivo centrale che sarà ora la massimizzazione del prodotto del bene comune dell’impresa.  

Il modello macroeconomico che abbiamo descritto fondato sulla soddisfazione della domanda interna e sulla esportazione dell’eccedenza di quanto prodotto localmente è aperto ma non capitalistico. L’aumento di produttività conseguente all’introduzione di tecnologie, permetterebbe, in questo diverso contesto economico, una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di merci e servizi prodotti senza essere costretti ad abbassare il reddito dei lavoratori. È innegabile che l’automazione incorpori lavoro umano. La novità è che, mentre in passato, le tecnologie dell’automazione creavano nuovi posti di lavoro distruggendone almeno altrettanti in un rapporto di sola sostituzione, oggi le macchine, dotate di intelligenza artificiale di seconda generazione (utilizzanti la tecnologia delle reti neurali) apprendono e sono sempre più adatte a sostituire anche il lavoro cognitivo umano (16). Lo sbilancio tra i nuovi lavori creati dall’introduzione dell’intelligenza artificiale e i lavori che scompariranno crescerà inevitabilmente. Bisogna però chiedersi come mai questo non si trasformi in benefici a vantaggio di tutti. Il banco di prova, per un sistema economico sano e sostenibile, è che i guadagni di produttività, e la conseguente ricchezza, resi possibili dalla introduzione di macchine intelligenti nel mondo del lavoro , dovrebbero tradursi in: 

  • riduzione dei tempi di lavoro (orario di lavoro, età pensionamento, ecc. ) a parità di remunerazione, nel caso il bisogno e quindi la domanda di beni prodotti con sistemi automatizzati si mantenga stazionaria, e la piena occupazione, nei settori interessati, fosse stata raggiunta.
  • riduzione dei contributi previdenziali procapite, conseguente alla introduzione di tecnologie intelligenti, che crea un vantaggio anche per gli imprenditori .

In quest’ordine di cose ciascuno è invitato a offrire le proprie competenze, il proprio saper fare sostenuto primariamente dalla moneta locale, che non serve per essere guadagnata, ma come unità di conto atta a mediare gli scambi e, come tale, non convertibile, né tesaurizzabile.

E’ possibile attivare uno sviluppo responsabile in cui gli obiettivi siano l’ambiente e il benessere sociale e il vincolo l’abbattimento della disoccupazione (piena occupazione). La struttura economica dell’Economia del Bene Comune assicurerebbe una modalità di produzione orientata alla massimizzazione del Prodotto del Bene Comune. 

Far crescere la domanda interna e i salari, disincentivando le esportazioni, è una ipotesi Keynesiana compatibile con il ritorno della classe media, il welfare universale, la piena occupazione. Si tratta di un modello economico contro lo strapotere della finanza speculativa globalizzata, per la ripresa di uno sviluppo vero, basato sul lavoro, sulle infrastrutture, sulla collaborazione tra i popoli.

Ripristinare l’esercizio della sovranità monetaria (17) è condizione necessaria alla messa in opera dell’Economia per il Bene Comune; essa ci permetterebbe di svincolarci dalla morsa di un sistema che ci ha costretto a massimizzare le esportazioni gareggiando al ribasso con le aziende che, su scala globale, hanno massimizzato la produzione a discapito della salute delle persone, dei diritti dei lavoratori e della tutela e salvaguardia dell’ambiente. Potremmo tornare finalmente ad occuparci di quelle attività riguardanti il mantenimento delle condizioni della vita e quindi la cura dei figli, l’accudimento degli anziani, la cura degli habitat naturali, l’inclusione delle diversità.

Riorientare, quindi, primariamente la produzione economica alla risposta al fabbisogno interno limitandosi alla esportazione di quelle eccedenze risultato originale della specificità italiana vendibile, perciò, come afferma Nino Galloni, a prezzo arbitrario. Potremo così sganciarci dal ricatto della globalizzazione. Le nostre energie tornerebbero a ridistribuirsi equamente in tutti i settori in cui si registra un bisogno di intervento, nella forma della costruzione della sicurezza, la prevenzione nel campo della salute umana e del territorio. La struttura dell’economia per il bene comune ci garantirebbe di avere dalla nostra parte la grande forza ed efficienza delle imprese private e pubbliche votate alla produzione di bene comune. Le aziende, dal canto loro, non avrebbero più alcuna ragione per produrre più di quel che serve. In ogni settore si raggiungerebbe la dimensione ottimale alla risposta ad un particolare bisogno sia esso rappresentato dalla produzione di servizi e/o merci. L’attenzione e la capacità di corrispondere i bisogni di cura, manutenzione e tutela sarebbero in grado di invertire l’attuale tendenza al consumo di risorse non rinnovabili alla produzione di esternalità negative e alla conseguente destabilizzazione degli ecosistemi. A tal fine si attiverebbero le energie, le competenze necessarie a intervenire decostruendo e rimuovendo quanto di pericoloso, dannoso e inutilmente ingombrante ha occupato spazio vitale, rigenerando, al tempo stesso, gli ecosistemi naturali ed urbani e la tutela del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico. Anche il sistema educativo andrebbe ripensato e ristrutturato al fine di generare ricerca, attenzione e capacità di risposta orientate alla massimizzazione del prodotto del bene comune.  


Dal Warfare al welfare
In quest’ordine di idee è importante riallocare le spese del settore militare (80 milioni €/giorno) verso la riattivazione dello stato sociale, nel contesto di una politica estera, degna di questo nome, che vedesse l’Italia quale paese neutrale, finalmente fuori dalla NATO in ottemperanza al dettato costituzionale (art.11). Una tale scelta ci consentirebbe di svolgere un ruolo non più subalterno, ai dettami NATO (18), nella costruzione di una politica estera, di pace e cooperazione economica, nell’area del mediterraneo. Urge una azione di alta diplomazia che abbia come asse portante il rifiuto di considerare Russia e Cina quali potenziali nemici ma come partner nella ricerca e nella realizzazione di accordi commerciali e di pace.

A seguire un breve elenco di alcune delle strategie e degli strumenti monetari implementabili per una rivoluzione della finanza pubblica necessari per la messa in atto della economia per il bene comune: 

Moneta non a debito utilizzabile per i grandi piani di investimento pubblico e scambio di merci e servizi:

StatoNote ovvero biglietti di Stato emesse dalla Repubblica Italiana. Il sottostante dei biglietti di Stato essendo le tasse pagabili in moneta di Stato. Proposta avanzata dal Comitato nazionale StatoNote;
Certificati di Credito Fiscale utilizzabili quali mezzo di pagamento spendibili alla fine del loro ciclo di due anni per l’ottenimento di sconti fiscali. (M. Cattaneo, S.Sylos Labini, B. Bossone ed altri);
StatoNote e CCF sono inoltre utilizzabili a integrazione di pensioni, redditi e come forma di riduzione del cuneo fiscale per contrastare la deflazione salariale così come per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni con le imprese private;

Ritorno alle banche pubbliche;

TdS trasformabili in titoli fiscali a convertibilità garantita; 

Abolizione delle aste marginali;

Ritornare a TdS di risparmio piuttosto che di investimento (> di 4000 mld di risparmi privati) secondo la proposta originariamente avanzata da Guido Grossi;
Eliminazione dell’obbligo di pareggio di bilancio in Costituzione (art.81);
Inserimento in Costituzione di un esplicito riferimento alla sovranità monetaria dello Stato e alla irrinunciabilità del suo esercizio.

(1) Lo smantellamento dei servizi pubblici, comportando la necessità di attivare varie forme assicurative utilizzando il proprio reddito, impediscono la formazione di risparmio privato. 

(2) Il più inaccettabile dei provvedimenti relativi alle privatizzazioni è stato il decreto legislativo 85 del 28 maggio 2010, istitutivo, in esecuzione dell’articolo 19 della legge 42 del 5 maggio 2009, del cosiddetto federalismo demaniale. Esso ha previsto la regionalizzazione del demanio idrico, marittimo e minerario, e la loro successiva vendita a privati, precisando che possono essere venduti anche beni artistici e storici, purché i relativi atti di alienazione siano approvati dal ministero dei Beni culturali e ambientali. Dunque, i beni dello Stato e degli altri enti territoriali, anche se facenti parte del «patrimonio indisponibile» o, addirittura, del «demanio», possono essere agevolmente venduti a privati, al solo fine di far cassa. Ed è questo un colpo mortale contro la «proprietà collettiva del territorio». Paolo Maddalena: Da http://temi.repubblica.it/micromega-online/per-una-teoria-dei-beni-comuni/

(3)http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/dissesto-idrogeologico-in-italia-pericolosita-e-indicatori-di-rischio-rapporto-2015

(4) https://www.crea.gov.it/wp-content/uploads/2017/03/Itaconta-2016-x-WEB.pdf?x99213

(5) Va riconosciuto definitivamente all’agricoltura il suo contributo alla conservazione del paesaggio e alla protezione ambientale tramite i processi di ricontadinizzazione e rilocalizzazione in atto di nuove pratiche di distribuzione (piccola distribuzione organizzata), consumo e produzione del cibo. Vanno incoraggiati i cambiamenti del modello organizzativo dell’azienda agricola e l’emergere di strategie basate sulla cooperazione sociale che stanno ristrutturando i sistemi alimentari locali, che garantiscono sostenibilità insieme economica, ambientale e sociale.

(6) https://vimeo.com/25245138 – Una fattoria per il futuro  documentario BBC.

(7) “Rovesciare la piramide” di Pietro Laureano, Boringhieri

(8) Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) è disponibile all’indirizzo che segue: http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/adattamenti_climatici/documento_pnacc_luglio_2017.pdf 

(9) Il caso di Cuneo:   https://www.youtube.com/watch?v=Zo51XwrLBpY

(10)https://www.ted.com/talks/shubhendu_sharma_an_engineers_vision_for_tiny_forests_everywhere#t-4210

(11)  Il carbone prodotto è lo stesso che gli Indios usavano per formare la Tera Nera, nota in Sudamerica da millenni, per le sue ottime capacità di fertilizzante agricolo.

(12) RSU – Rifiuti Solidi Urbani; Frazione organica da RSU; Deizioni solide di origine animale; CDR – Combustibile Derivato dai Rifiuti ospedalieri; Plastiche Pneumatici; Fanghi da digestione anerobiche; Sanse olearie e vinacce; Cippato di legno e ramaglie; Scarti agroalimentari e di macellazione. Come si vede la pirolisi è alimentabile da tutti quei materiali che costituiscono i rifiuti più diffusi! 

(13)https://www.lastampa.it/2016/04/14/scienza/ambiente/focus/carpooling-aziendale-con-la-sharing-economy-i-lavoratori-risparmiano-tonnellate-di-co-e-euro-lanno-vpqQCUeRwtRdHriP2dzCiJ/pagina.html

(14) https://comune-info.net/2012/07/fabbriche-senza-padrone-in-italia/

(15) http://www.economia-del-bene-comune.it/

(16) Questo tipo di applicazioni è già in uso. Si pensi al riconoscimento di volti, traduzioni automatiche, gli assistenti virtuali come siri ed altri, le auto autonome o a WATSON, un supercomputer sviluppato dalla Ibm, già in uso in molte strutture sanitarie in Florida, Tailandia, India, in grado di eseguire analisi, diagnosi e possibile terapie per il trattamento dei tumori in appena 10 minuti, compito che i team di esperti impiegano più di 150 ore a completare. Anche il futuro della chirurgia sarà affidato sempre più ai robot. Si pensi inoltre agli aumenti di produttività conseguenti all’introduzione di un «robot avvocato» in uno studio legale o a quelli conseguibili dalle grandi testate giornalistiche che hanno cominciato a fare uso di algoritmi adatti alla produzione automatica di articoli… 

(17) “Riforma del bilancio dello Stato: distinguere il bilancio finanziario o patrimoniale dentro il quale ci mettiamo al passivo il debito pubblico e all’attivo il patrimonio pubblico che è 4 volte il debito e quindi sappiamo che il debito non è più insostenibile… va solo gestita la partita degli interessi che in questo periodo è favorevole. Nel conto economico che deve essere tutta cassa e non di competenza invece dobbiamo portare a pareggio le emissioni monetarie e in questo modo abbiamo il bilancio in pareggio ma facciamo tutta la spesa pubblica che vogliamo e ciò può avvenire o stando in Europa con l’euro oppure attraverso una trasformazione della BCE che autorizza questi disavanzi non più in funzione di astratti e astrusi criteri finanziari ma in funzione delle necessità di crescita, della disoccupazione, delle cose da fare in ciascun paese oppure se questo non fosse possibile come pensano molti di noi ripristinando la sovranità monetaria dello stato sia con emissioni fiduciarie sia con emissioni di moneta di altro genere.“ (A.Galloni, 2017)

(18) «Ogni anno gli italiani versano in media 400 milioni di euro per mantenere ufficiali e soldati dell’esercito Usa sul nostro territorio, da Aviano alla Maddalena, da Ghedi a Camp Darby. Esistono in Italia, oltre alle oltre 120 basi dichiarate, più di 20 basi militari Usa totalmente segrete: non si sa dove sono, né che armi e che mezzi vi siano (http://www.nogeoingegneria.com/)». Una vera e propria colonizzazione militare

articolo pubblicato su www.iskrae.eu

apparso in versione ridotta su Sovranità Popolare anno 01 numero 02 pag. 26 (versione cartacea)