La transizione in atto verso un mondo nuovo è ormai frenabile solo dalla guerra globale
Il vecchio mondo non funziona più né dal punto di vista della sicurezza globale né da quello economico e della sostenibilità delle economie estrattive neoliberiste. Esso era fondato sull’egemonia unipolare USA che, con i suoi vassalli europei da una parte e orientali (Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine) dall’altra, stanno cercando di frenare la riorganizzazione delle relazioni tra Paesi di cui risultano protagonisti i paesi BRICS allargati, sempre più numerosi, con un potenziale di espansione enorme. Intorno ai BRICS plus orbita ormai l’80% del mondo.
Gli USA usano Israele, così come i paesi NATO-Ue
Il vecchio mondo, dominato dagli USA, sta tentando di arginare, con la minaccia militare e la violenza delle armi, l’affermazione del mondo multipolare; il risultato ampiamente pianificato consiste nella destabilizzazione di diverse aree critiche del pianeta: dal cuore dell’Europa, in Ucraina, usata come piattaforma di guerra contro la Federazione Russa, al Medioriente, ove lo strumento di conservazione del vecchio ordine occidentale è Israele, sino al mar cinese meridionale dove allo stesso scopo è utilizzata la contesa artificiosa sull’isola di Taiwan. Dinamiche analoghe sono in atto nel continente africano che si sta liberando dalla seconda colonizzazione francese e statunitense e in quello sudamericano ove è l’Argentina a svolgere il ruolo di strumento reazionario ad uso e consumo del vecchio dominio USA.
Con l’espansione della NATO ad Est sino ai confini della Federazione Russa, che include la volontà di inglobare l’Ucraina, è stato violato il principio di indivisibilità della sicurezza secondo cui la sicurezza di alcuni non può essere raggiunta a discapito di quella di altri. L’ultimo atto di tale follia atlantista è stata l’inclusione di Finlandia e Svezia. La Finlandia condivide con la Russia quasi 1400 km di confine. È stato, di conseguenza, provocato il collasso del sistema di sicurezza euro Atlantico che dev’essere ricostruito al più presto. In altre parole la minaccia all’Europa, lungi dal venire dalla Federazione Russa, deriva, chiarissimamente ormai, dalla sua servitù al sistema di dominio anglo americano, un giogo che la sta trascinando a velocità crescente in un baratro, un vicolo cieco evolutivo.
Gli USA speravano, forse, che portare le proprie infrastrutture militari più vicine ai confini della Russia potesse essere fatto impunemente, senza ricevere una risposta simmetrica sotto forma di missili vicino agli Stati Uniti, per ristabilire la deterrenza nucleare. Recentemente è accaduto proprio questo al largo della costa della Florida e di Cuba, dove la Marina russa ha insediato uno schieramento militare permanente, a 60 miglia dalla costa della Florida che mette sotto tiro atomico gli Stati Uniti. Ciò è avvenuto per ristabilire la deterrenza nucleare dopo che gli USA, per mano ucraina, hanno attaccato, danneggiandoli, due sistemi radar di allarme precoce nucleare, su scala intercontinentale, russi.
Da una parte e dall’altra si tratta ormai di una guerra esistenziale che nessuno, per opposte ragioni, può permettersi di perdere; poiché a fronteggiarsi sono le più grandi potenze atomiche del pianeta, ciò significa che tutto è in gioco, che l’esistenza di tutto e le esistenze di tutti noi sono in gioco.
La Russia è una potenza nucleare. Vorrebbero smantellarla e colonizzarla economicamente depredandone le risorse, come erano riusciti a fare con Eltsin per un decennio.
Da subito, la Federezione russa ha dichiarato che se si dovesse trovare a fronteggiare apertamente le forze USA-NATO non esiterebbe, qualora divenisse l’unico modo per difendersi, a ricorrere all’uso delle armi nucleari. In pratica, perché si eviti una risposta nucleare, bisogna sperare in una Russia sempre vincente sui campi di battaglia…
Diviene così fondamentale l’offensiva diplomatica russo-cinese consistente nell’appello a costruire una nuova architettura di sicurezza internazionale senza il dominio occidentale (1), che ristabilisca il rispetto delle leggi internazionali, un’idea estremamente popolare nei paesi del Sud del mondo stanchi di relazioni politiche, commerciali ed economiche ineguali, senza rispetto alcuno delle loro sovranità e delle civiltà culturali di appartenenza.
Le origini geoeconomiche del conflitto
Gli USA stanno conoscendo una crescita del loro debito pubblico e del loro debito estero insostenibile nelle attuali condizioni geopolitiche soprattutto a causa del processo di dedollarizzazione in corso. Il primo ammonta ormai a 34,5 trilioni di dollari che rappresentano il 129% del PIL nazionale (Prodotto Interno Lordo). Il suo ritmo di crescita è tumultuoso. La Federal Reserve ha, infatti, dovuto alzare i tassi di interesse per rendere più appetibili i titoli di Stato USA sempre meno richiesti nel mondo (al loro posto, come vedremo, si preferisce acquistare oro e altro) con la conseguenza inevitabile che il necessario rifinanziamento a tassi più alti del costo del debito pubblico, il servizio al debito ossia gli interessi da corrispondore ai creditori, stanno aumentando esponenzialmente. Attualmente essi ammontano a circa un trilione (mille miliardi) di dollari all’anno, quasi tre miliardi di dollari al giorno!
Ed ecco un aspetto fondamentale relativo al conflitto in atto: la Cina, il più grande detentore straniero di titoli del Tesoro americano, negli ultimi anni ha rallentato i suoi acquisti e anzi si ritrova piuttosto a liberarsi di titoli del tesoro USA precedentemente acquistati vendendoli. Stessa cosa fanno, in misura diversa, il Giappone e alcuni paesi europei come l’Irlanda e il Belgio. Tutto ciò accade malgrado il freno a tale tendenza costituito dal continuo rialzo dei tassi (pur con evidenti effetti collaterali, tra i quali il rallentamento della crescita economica, le recenti crisi bancarie, ecc.) che promette una remunerazione più generosa dei titoli ai paesi acquirenti il debito americano. La Federal Reserve insiste rendendo più appetibile la remunerazione dei prestiti che continuano a chiedere al resto del mondo ma la loro promessa è sempre meno credibile.
Il debito estero statunitense (la somma di tutti i debiti che il governo degli Stati Uniti deve a creditori stranieri) ormai prossimo ai 20.000 miliardi di dollari ha superato l’80% del PIL. In particolare, gli USA, da tempo ormai, importano assai più di quanto esportino. Gli Stati Uniti hanno, infatti, una bilancia commerciale in deficit, ininterrottamente, dal 1975. Lo sbilanciamento è un dato strutturale intervenuto dopo l’intervento di Nixon nel 1971 che trasformò il dollaro in valuta fiat (nel senso biblico della creazione monetaria illimitata: fiat lux et lux fuit). Prima di allora, l’equilibrio della bilancia dei pagamenti era assicurata dal fatto che il debito estero americano fosse esigibile dai paesi creditori in oro. I paesi con cui gli USA si indebitavano erano perciò legittimati a chiedere l’estinzione del loro credito in oro. L’oro nelle riserve USA non era però sufficiente alle esigenze delle transazioni commerciali, in rapida crescita, dell’epoca, da cui la scelta del 1971 che rese possibile una creazione monetaria illimitata, indipendente dall’esistenza di un corrispettivo in oro.
In passato, il dollaro, reso forte dalla sua continua domanda sui mercati internazionali, ha causato un “listino prezzo” dei prodotti americani all’estero più costoso per gli acquirenti stranieri mentre le importazioni, con un dollaro forte, divenivano più convenienti per i consumatori americani che si sono così potuti permettere un elevato livello di consumo di prodotti esteri.
Il dollaro, imposto al mondo quale valuta internazionale, se da una parte ha permesso agli USA di importare senza preoccuparsi di esportare un equivalente in beni, prodotti internamente, verso altri Paesi, ha avuto come conseguenza l’abbandono progressivo dell’economia reale; in pratica tutto ciò ha portato ad una sempre più bassa quota di produzione manifatturiera così che molti beni che prima venivano prodotti internamente ora devono necessariamente essere importati. A questa deindustrializzazione derivante dall’abbandono progressivo dell’economia reale ha corrisposto una crescente finanziarizzazione dell’economia. Una vera e propria dissociazione fra economia reale e finanza. Si è consolidata l’idea che i soldi si possano fare con i soldi.
Il primo campanello d’allarme sulla insostenibilità a lungo andare di deindustrializzazione e finanziarizzazione è emerso con la crisi del 2007/2008.
Oggi gli Stati Uniti cercano di correre ai ripari tornando ad investire nell’economia reale e nella reindustrializzazione ricorrendo allo scopo a programmi di investimento che fanno leva sul debito pubblico, sostenuto da successive sessioni di quantitative easing, inaugurate dalla crisi del 2007, che hanno permesso all’economia finanziaria di sopravvivere a se stessa, ma anche dall’acquisto di titoli di debito pubblico da parte dei grandi fondi di investimento (The big three: Blackrock, Vanguard, State Street), in grado di rastrellare risparmi su scala globale con cui puntellare il sistema economico finanziario, comprandone i titoli del debito e dando ossigeno al dollaro, non sappiamo per quanto tempo ancora.
Come gli USA, altri Paesi risultano pesantemente indebitati con l’estero; si tratta della Francia e del Regno unito, non a caso, strenui sostenitori ed alimentatori dei conflitti in atto.
Vivere al di sopra delle proprie possibilità, come pretendono di fare i paesi in deficit, indebitandosi, non è però possibile a tempo indeterminato.
In passato gli Stati Uniti potevano permettersi il privilegio di accumulare enormi deficit senza che il dollaro potesse svalutarsi perché il suo valore era tenuto alto dalla obbligata domanda di dollari da parte degli altri Paesi costretti ad usarli per effettuare i loro acquisti sui mercati internazionali. Oggi però si sperimentano alternative all’uso del dollaro il cui uso sui mercati
Il suo uso è paradossalmente sempre più ostacolato dallo stesso protezionismo aggressivo occidentale che pretende ormai di limitare i propri scambi al cortile di casa occidentale. Questo protezionismo aggressivo verso Paesi con cui si hanno relazioni economiche ostili è definito friend shoring o allyshoring. In altre parole, quei Paesi che adottano il friend shoring scelgono di importare solo dalla cerchia di Paesi ritenuti amici e spostano le loro attività produttive (delocalizzazioni) solo verso quei Paesi con cui condividono valori politici e strategie geopolitiche comuni. Gli affari si fanno solo con gli amici anche a costo della deglobalizzazione dell’economia.
La genesi delle politiche di friendshoring
A Paesi debitori corrispondono Paesi creditori. Tra quelli ritenuti ostili, al primo posto risulta la Cina nonché la stessa Federazione Russa e alcuni Paesi arabi. L’inevitabile conflitto tra Paesi debitori e creditori è esploso quando questi ultimi hanno preteso di spendere il loro surplus non più finanziando il debito americano con l’acquisto di titoli USA, quanto, piuttosto, investendoli nella costruzione di infrastrutture commerciali su scala globale. Si pensi, a titolo di esempio, al caso della nuova via della seta cinese e al corridoio Nord-Sud russo che da Pietroburgo passando per il mar Caspio e l’Iran giunge sino in India. Infrastrutture di queste dimensioni oltretutto incrinano il potere talassocratico americano. Anche la legittima volontà di acquisto di asset industriali importanti (porti, centri di produzione, ecc.) presso i paesi occidentali, da parte dei paesi creditori, viene impedita ed ostacolata con ogni mezzo essendo foriera di perdita di dominio da parte del vecchio ordine unipolare occidentale, a favore dei paesi creditori, contrastabile efficacemente solo ricorrendo alla minaccia manu militari e anzi all’impiego pianificato della forza militare.
Protezionismo aggressivo
Le sanzioni, i dazi, il sequestro e il congelamento delle riserve valutarie russe hanno causato il ridimensionamento delle relazioni col mondo orientale. Esse hanno rapidamente portato alla divisione del mondo in blocchi sempre meno comunicanti e alla accelerazione della fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta e del relativo modello neoliberista che aveva ripreso vigore dopo la seconda metà degli anni ’70.
Come su accennato si assiste alla sostanziale volontà di ricollocamento del surplus orientale (sono tanti i paesi che vendono titoli occidentali e comprano oro) in investimenti infrastrutturali nello spazio BRICS in continuo ampliamento, in Medioriente, Africa, Sud America e ultimamente direttamente nello spazio europeo, in Serbia (2) ed Ungheria (3), dove la Cina, per fare un esempio, intende costruire anche fabbriche per la produzione di auto elettriche e batterie ad alta tecnologia, bypassando così le misure protezionistiche europee (l’Ungheria essendo un paese dell’Unione) che tentano di salvare i loro investimenti nello stesso settore ben consci di come i prodotti cinesi risultino ormai di più alta qualità e prezzo assai inferiore rispetto ai corrispettivi europei.
Si aggiunga che il sistema produttivo europeo è fortemente penalizzato dagli alti costi delle materie prime, anche energetiche, a causa delle sanzioni alla Russia imposte dagli USA e che viceversa, la Cina ha potuto avvantaggiarsene aumentando enormemente gli scambi nel settore energetico con la Federazione Russa.
L’Occidente è in grande difficoltà con la Cina. Non può permettersi di considerarla un “rivale sistemico” e chiederle di interrompere la collaborazione con il suo partner strategico, la Russia, perché l’abbandono della Cina come partner commerciale implicherebbe la rinuncia a quasi 800 miliardi di dollari di interscambio e questo comporterebbe un’ancor più rapido declino dell’economia europea.
Da Bigpharma a bigarma, al gas liquefatto USA
Gli USA nel tentativo di riequilibrare la propria bilancia dei pagamenti hanno imposto all’Unione europea, tra l’altro, le proprie esportazioni di armi e la propria produzione di gas liquefatto (GNL). Il gas liquefatto USA, da quattro a cinque volte più caro rispetto a quello russo, per ricevere il quale l’Europa ha dovuto sostenere oltretutto le relative spese di infrastrutturazione. Il passaggio dal gas russo da tubo a quello liquido da gasiera ha reso assai meno competitiva la produzione industriale europea. Non è a caso che in Europa oggi si assiste ad una diminuzione della produzione industriale e ad un relativo processo di delocalizzazione e/o deindustrializzazione.
Il processo di arroccamento dell’Occidente allargato, rispetto all’emersione del nuovo mondo, che si sta riorganizzando per autonomizzarsi dalle istituzioni occidentali, sta peraltro accelerando la dedollarizzazione in corso compresa la costruzione di una nuova moneta dei BRICS (vedi il mio Un mondo nuovo è in costruzione. Una seconda occasione che il mondo non deve mancare).
Il potere di signoraggio del dollaro imposto al mondo aveva fin qui permesso agli USA di disporre di una fonte di liquidità praticamente illimitata al servizio della loro egemonia imperiale. Stampando dollari alla bisogna (cosa che avrebbe immancabilmente svalutato la moneta di qualsiasi altro Paese che avesse adottato lo stesso fare) hanno potuto costruirsi l’esercito più potente al mondo. Hanno recitato il ruolo egemonico di finanziatori di aiuti internazionali e investimenti esteri ecc.. Si sono potuti permettere di “dare” senza in realtà spendere, apparendo generosi senza che a loro potesse mancare nulla nel tentativo di mascherare l’oscena violenza di 75 anni della loro “pace” in cui secondo le diverse stime degli storici hanno causato da 20 a 30 milioni di vittime da moltiplicare per 10 se nel conto si volessero includere i feriti.
L’attacco alla Russia da parte degli USA, nello spazio europeo, che aveva lo scopo di impedire quel virtuoso e crescente connubio politico economico tra Europa e Federazione Russa, in grado, secondo le più ataviche paure angloamericane, di oscurare l’egemonia unipolare USA, ha sortito l’effetto di spingere la Federazione Russa verso la Cina, girando le spalle all’Occidente. Nelle intenzioni del potere egemonico occidentale, lo smantellamento della Russia e la sua colonizzazione economica, avrebbero l’ulteriore obiettivo di ostacolare la crescita impetuosa della Cina facendole mancare le materie prime che in larghissima misura le giungono oggi proprio dalla Federazione Russa.
La globalizzazione neoliberale è stata così letteralmente fatta a pezzi. I blocchi nel commercio mondiale e la relativa dedollarizzazione che ne consegue, rischiano ora di minare le fondamenta stesse del neoliberismo globale e con esse le loro istituzioni belliche ed economiche col rischio che si consideri tragicamente di usare le prime quali via di uscita dalla trappola in cui l’Occidente si è ficcato non accettando la fine dell’ordine di Yalta e del successivo, necessario, ridimensionamento drastico dell’egemonia unipolare degli USA, esercitata a partire dal collasso dell’URSS.
Nel 1944 si aveva piena consapevolezza di come fosse necessario, dopo che il mondo aveva subito due conflitti mondiali e si trovava al cospetto di un modello di organizzazione socioeconomico alternativo a quello occidentale, quale quello sovietico, arrivare ad una riforma del sistema dei pagamenti internazionali imponendo la scambiabilità del dollaro con l’oro. Ciò sarebbe servito ad evitare grandi surplus e corrispondenti insanabili deficit che immancabilmente conducono a tensioni che sfociano in conflitti tra Paesi il cui esito produce immancabilmente la “soluzione” militare.
Oggi ci sarebbero tutte le condizioni esterne a consigliare una nuova Bretton Woods, con il pungolo dei BRICS+ in sostituzione di quello dell’URSS, cercando piuttosto la collaborazione con il Sud Globale magari prima che la guerra possa conoscere un’ulteriore fatale espansione…
UNIT. La rivoluzione corre dalla liquidità alla compensazione
È la nuova moneta in fase di costruzione nel mondo BRICS+. Dalle prime indiscrezioni dovrebbe trattarsi non di una moneta emessa dalla banca centrale di un qualsiasi Paese ma di una moneta internazionale nella forma di semplice unità di conto che superi finalmente il paradigma vigente della liquidità il quale provoca le attuali patologie di cui soffre il sistema dei pagamenti internazionali per accoglierne una strutturalmente diversa fondata sul CLEARING (compensazione), come proposto a suo tempo nel 1944 a Bretton Woods, da J.L.M. Keynes, in grado di mettere fine contemporaneamente alla moneta a debito (usura), al potere di signoraggio, di accumulazione, ai mercati abusivi della finanza speculativa internazionale, e a quegli squilibri nelle bilance commerciali e dei pagamenti che portano ad enormi deficit da una parte e surplus dall’altra.
Nell’adozione del paradigma del clearing risiede la speranza della costruzione di un mondo strutturalmente più giusto e collaborativo, un mondo senza guerre.
(1) Il nuovo sistema di sicurezza eurasiatico proposto dal presidente russo Vladimir Putin è stato il punto focale della discussione al recente vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO). Putin ha sottolineato l’importanza di dare priorità alla sicurezza all’interno della SCO, affermando che “è stata presa la decisione di trasformare la struttura antiterrorismo regionale della SCO in un centro universale incaricato di rispondere all’intera gamma di minacce alla sicurezza” creando altresì un’architettura di sicurezza aperta a “tutti i paesi eurasiatici che desiderano partecipare”, compresi i “paesi europei e NATO”.
Ha inoltre sottolineato, tra l’altro, come sia fondamentale stabilire alternative ai meccanismi economici controllati dall’Occidente, espandere l’uso delle valute nazionali negli insediamenti e istituire sistemi di pagamento indipendenti e sviluppare corridoi di trasporto internazionali in Eurasia.
(2) La Serbia ha firmato un accordo su un “futuro condiviso” con la Cina e intende rafforzare il commercio reciproco in yuan.
(3) In una conferenza stampa congiunta con Xi il 9 maggio, Viktor Orban ha annunciato che la Cina investirà in Ungheria in crescita tecnologica e industriale, 6.400 miliardi di fiorini (16,5 miliardi di euro).
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