Israele gegen alle

Israele gegen alle

Agosto 7, 2025 0 Di Francesco Cappello

Il panorama del dibattito su Israele sta vivendo una trasformazione radicale, sia sulla scena internazionale che all’interno della società israeliana stessa. Persino il linguaggio un tempo strettamente riservato per descrivere l’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale viene ora impiegato per riferirsi agli eventi di Gaza, con alcuni israeliani che parlano apertamente di “genocidio” e persino di “un altro olocausto”.

Yoav Gallant. Ex ministro della difesa israeliano. Attualmente ricercato dalla Corte Penale Internazionale con l’accusa di sterminio e utilizzo della fame come metodo di guerra

Questa nuova terminologia non è passata inosservata, con accademici ed esperti di Olocausto e genocidio che sono intervenuti per affermare che ciò che accade a Gaza non è una guerra, ma una deliberata imposizione della morte attraverso bombardamenti, cecchinaggio e, infine, la fame.

A sinistra, l’opera dell’artista di strada australiano, Scott Marsh

Viene evidenziato un tragico parallelismo tra la sofferenza degli ebrei nei campi di concentramento e quella che sta affrontando oggi la popolazione di Gaza, sottolineando come tutti a Gaza assomiglino agli ebrei, ai polacchi, ai liberali e ai rom in quei campi, afflitti dalla stessa carestia e mancanza d’acqua imposte da Israele. Il sostegno internazionale a Israele è precipitato drasticamente, specialmente in Occidente. Negli Stati Uniti, il supporto tra i democratici è crollato a circa il 6%, sebbene rimanga forte tra i repubblicani. Un segnale ancora più preoccupante per il governo israeliano è la crescente opposizione interna: quasi 500 ex funzionari dell’intelligence e della sicurezza hanno indirizzato una lettera al Primo Ministro Netanyahu, definendo la strategia attuale “stupida” e insostenibile. Persino il capo dell’esercito israeliano ha suggerito di abbandonare l’occupazione di Gaza per tornare a un assedio, riconoscendo le perdite insostenibili. Il Presidente Biden, dopo aver sempre sponsorizzato Netanyahu, ha ora ipocritamente ammesso che a Gaza è in atto una carestia forzata, esercitando pressione su Netanyahu affinché questa situazione cessi. I media internazionali, inclusi canali un tempo considerati filo-israeliani come la BBC, stanno adottando un tono più critico nei loro reportage. Ap News riporta che recentissimamente altri 38 palestinesi sono morti mentre cercavano di ricevere aiuti da convogli ONU o organizzazioni umanitarie: un bilancio tragico, con altri 25 morti in attacchi aerei israeliani. Complessivamente, da maggio, circa 1.400 persone hanno perso la vita in simili circostanze.

CORRECTS CAUSE OF DEATH.- Raed Salem Aslyieh, left, from Jabaliya, hugs his relatives after the death of his son, Ahmed Raed Aslyieh, 18, who succumbed to injuries sustained in an Israeli strike that killed eight other family members four months earlier, worsened by a lack of proper treatment due to medicine shortages, at the morgue of Shifa Hospital in Gaza City, Wednesday, Aug. 6, 2025. (AP Photo/Jehad Alshrafi)

Prima del 7 ottobre, Gaza era già, di fatto, un campo di concentramento per i palestinesi. Ora è un campo di sterminio a cielo aperto. Gli obiettivi dichiarati di Israele erano l’eliminazione di Hamas e l’eliminazione della presenza palestinese a Gaza. Quest’ultimo obiettivo è ancora in corso: la fame sta aumentando esponenzialmente, e appare inevitabile una imminente morte di massa. La popolazione palestinese viene concentrata in una ristretta parte meridionale di Gaza, ridotta a macerie, che non offre alcuna risorsa [1]. Le cosiddette stazioni di distribuzione alimentare, istituite da Israele in collaborazione con gli Stati Uniti tramite la “Gaza Humanitarian Foundation“, sono state ampiamente denunciate come trappole destinate ad attirare e catturare e spesso uccidere i palestinesi piuttosto che a nutrirli. Un colonnello dell’esercito americano in pensione, Tony Aguilar, ha denunciato pubblicamente le crudeltà di questa fondazione: “In tutta la mia carriera, non ho mai visto un livello di brutalità simile… spari contro folle di civili, uso di mortai contro chi cercava di allontanarsi”. Aguilar si è dimesso inorridito per gli abusi contro donne e bambini nei centri di distribuzione, definendo l’esperienza un “Hunger Game reale” vedi (https://www.lastampa.it/esteri/2025/08/06/video/la_videointervista_-_il_soldato_pentito_a_gaza_ho_visto_sparare_sui_bambini-15261806/)

I lanci di cibo con il paracadute da parte delle forze aeree sono azioni puramente propagandistiche e del tutto inadeguate ad affrontare la situazione, e gli esperti avvertono che i bambini malnutriti non si riprenderanno mai dai danni subiti. Gli Stati Uniti sono pienamente complici della strategia della morte per fame attraverso il funzionamento di queste fondazioni congiunte USA-Israele.
Secondo un rapporto ONU del 6 agosto, solo l’1,5 % dei terreni agricoli di Gaza è rimasto accessibile e coltivabile. Una drastica riduzione: era il 4 % ad aprile. Circa l’86 % delle terre agricole – ovvero 13.000 ettari – sono ormai distrutte o inaccessibili. L’ONU lancia l’allarme: si rischia una carestia totale, non per mancanza di cibo, ma per la distruzione delle risorse locali e l’ostruzione degli aiuti umanitari (vedi The Guardian).
Aljazeera denucia che sono almeno cinque i nuovi casi di decesso per fame registrati, portando il totale a 193.

Nel frattempo, alcuni governi europei, in particolare Francia e Regno Unito, hanno espresso l’intenzione di riconoscere la Palestina. La condizione britannica di riconoscere la Palestina a settembre solo se Israele interromperà i blocchi alimentari è un modo cinico per dare a Israele altri due mesi per continuare a cancellare ulteriormente Gaza, il solito approccio europeo di parole vuote e discorsi altisonanti mentre la collaborazione con il boia israeliano continua su tutti i piani compreso quello militare.

Ad opporsi fattivamente al rifornimento militare di Israele i nostri portuali. Nel porto di Livorno, in particolare, i lavoratori iscritti all’Unione Sindacale di Base (USB) hanno rifiutato di caricare un carico di armi destinato al porto israeliano di Ashdod dichiarando: “Non vogliamo essere complici nel dare armi a chi sta uccidendo civili disarmati”. “Faremo tutto il possibile per rifiutare il carico, anche a costo di perdere parte del salario” Arab News.
Anche nel porto di Genova, il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) e i portuali aderenti all’USB hanno organizzato un presidio per impedire lo sbarco di contenitori con armamenti. Grazie alla mobilitazione, la compagnia marittima Cosco ha rinunciato allo sbarco di tre container con armi dirette a Israele. Secondo Calp: “È la prima volta che un’azienda del calibro di Cosco comunica ufficialmente la rinuncia al carico”. “Continueremo mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese e per chiedere lo stop ai traffici militari nei porti civili”vedi ANSA.it e Il Fatto Quotidiano. Si tratta di una mobilitazione non limitata all’Italia: portuali in Francia, Grecia e Turchia hanno adottato iniziative simili, rifiutandosi di caricare o scaricare carichi militari destinati a Israele e promuovendo uno sciopero europeo coordinato. Euronews

Per molto tempo, l’Europa si è nascosta dietro un inesistente “processo di pace”, poi ha sostenuto a parole la soluzione dei due Stati senza agire, e ora l’abbraccia quando è quasi impossibile da realizzare senza un confronto diretto con Israele. Il riconoscimento risulta così un atto puramente simbolico piuttosto che un vero sostegno all’autodeterminazione palestinese.

Netanyahu va avanti a testa bassa verso l’occupazione militare di Cisgiordania e Gaza incurante delle crescenti difficoltà. Israele sta avviando la completa occupazione del territorio di Gaza. Tra le opzioni valutate, anche l’ingresso dell’IDF in aree dove si ritiene siano tenuti gli ostaggi. Il piano è in corso di formalizzazione tramite l’approvazione del Security Cabinet israeliano.
Il 29 maggio 2025 il governo israeliano ha ufficializzato la creazione di 22 nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, legalizzando diversi avamposti non autorizzati. L’obiettivo, dichiarato da Israele, è rafforzare la presenza territoriale e ostacolare una possibile statalità palestinese. L’iniziativa ha suscitato dure condanne da parte della comunità internazionale, definita la più significativa espansione dagli Accordi di Oslo.
A inizio agosto 2025 è emersa la ripresa di discussioni in merito al progetto E1, finalizzato a costruire migliaia di unità abitative e infrastrutture per collegare Ma’ale Adumim a Gerusalemme Est, con l’effetto di frammentare ulteriormente la Cisgiordania.
Le Forze di Difesa israeliane hanno lanciato all’inizio del 2025 una vasta operazione contro i militanti palestinesi in vari campi profughi della Cisgiordania, tra cui Jenin, Nur Shams e Tulkarm. Il bilancio: oltre 100 sospetti uccisi, 320 arresti, e circa 40.000 palestinesi sfollati — una delle peggiori crisi umanitarie nella regione dall’occupazione del 1967.

A luglio, la città di Sinjil è stata recintata da una barriera metallica alta cinque metri, con un solo varco controllato dai militari israeliani. Circa 8.000 persone sono rimaste isolate, escluse da 2.000 acri di terreni agricoli privati, limitando gravemente i loro mezzi di sostentamento.

Tra maggio e giugno, OCHA ha registrato almeno 32 attacchi di coloni che hanno provocato decine di feriti, ingenti danni materiali e la distruzione di alberi da frutto e proprietà palestinesi. Un rapporto diffuso a inizio 2025 riporta che nel solo 2024 sono state demolite quasi 1.000 strutture palestinesi, sequestrati oltre 53 km² di terreni e sfollate comunità beduine, soprattutto nell’Area B e altre zone sensibili.

Tutto questo malgrado le innumerevoli risoluzioni e da ultimo la dichiarazione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del luglio 2024 che ribadisce come l’occupazione israeliana della Cisgiordania (e di Gerusalemme Est e Gaza) sia del tutto illegale chiedendo la cessazione della presenza israeliana, la rimozione degli insediamenti e il versamento di riparazioni alle popolazioni palestinesi.

Le pressioni esterne si intensificano, con il Sud Globale che aumenta le azioni contro Israele, inclusi ostracismi, embarghi, disinvestimenti, boicottaggi e divieti di esportazione di armi. L’economia israeliana è in sofferenza: il porto di Eilat è inattivo a causa degli attacchi yemeniti, e i porti di Haifa e Ashdod sono assai poco utilizzabili dopo gli attacchi missilistici iraniani. Secondo un report di Reuters, i premi per l’assicurazione marittima verso Israele sono triplicati, passando da circa lo 0,2% a 0,7–1,0% del valore della nave, a causa della crescente instabilità regionale. Sempre Reuters riporta che, nonostante il porto di Haifa sia operativo, l’impianto petrolchimico della Bazan Group a Haifa è stato chiuso dopo che il suo sistema elettrico è stato danneggiato durante un attacco iraniano.

Si registra un numero elevatissimo di fallimenti di piccole imprese e un flusso di emigrazione, con startup che nascono all’estero anziché in Israele. L’esercito fatica a richiamare i riservisti, ottenendo solo il 40-50% delle partecipazioni. L’intelligence e la leadership militare sono scontente della strategia di Netanyahu. Israele è un paese profondamente diviso politicamente, socialmente, economicamente, razzialmente e religiosamente. Quasi tutti, incluse le famiglie degli ostaggi, si oppongono al Primo Ministro, il cui destino è legato alle “guerre eterne” e alla sua sopravvivenza politica. Come sempre il sostegno statunitense è vitale alla sua continuità.

L’egemonia militare di Israele nel Levante ha alienato il mondo intero, spingendo i paesi della regione a concentrarsi sulla minaccia che Israele rappresenta. Questo ha spinto i tradizionali avversari, Arabia Saudita e Iran, ad avvicinarsi come modo per bilanciare Israele, una tendenza facilitata anche da Cina (vedi La diplomazia russo-cinese riporta la Pace laddove gli USA avevano seminato la guerra), Iraq e Oman. Il Medio Oriente è il luogo dove la diplomazia e il diritto internazionale sono stati massacrati. Israele non ha mai proposto una pacifica convivenza con i palestinesi e ha deliberatamente fatto a pezzi il diritto internazionale, sfidando il Consiglio di Sicurezza e ignorando le convenzioni, inclusa quella sul genocidio.

Negli Stati Uniti, la critica aperta a Israele, un tempo un grande tabù, è ora sempre più diffusa e accettata, anche nei media mainstream. Le manifestazioni di centinaia di migliaia di persone rendono difficile nascondere la questione sotto il tappeto o liquidarla come antisemitismo. Per Israele è ormai impossibile giocare come ha sempre fatto la sua carta della vittima. La strategia di equiparare il sostegno al genocidio con una posizione filo-israeliana, o l’opposizione al genocidio con l’antisemitismo, sta avendo conseguenze negative. Voci ebraiche importanti stanno prendendo posizione contro Israele, cercando di distinguere il giudaismo dalle azioni israeliane, consapevoli che equiparare gli ebrei a Israele rischia di far risorgere l’antisemitismo. L’ammirazione di cui godevano gli ebrei americani è ora a rischio, con accuse che li collegano al genocidio e ad altre crudeltà. Si afferma che Israele abbia l’esercito e le politiche più sadiche e la minor propensione a dire la verità, in netto contrasto con la tradizione dell’ebraismo occidentale. Un commentatore americano ha amaramente osservato: “Se gli ebrei sono il popolo eletto da Dio, gli israeliani sono il popolo eletto da Satana”. Un report del New York Post del marzo 2025 ricorda che Farrakhan disse: “You and I are going to have to learn to distinguish between the righteous Jew and the Satanic Jews who have infected the whole world with poison and deceit.” New York Post
Viceversa il nostro campione nazionale, Matteo Salvini, che il 22 luglio 2025, Salvini ha ricevuto il premio “Amico di Israele” alla Camera dei deputati ben giustificato se si ricorda la sua dichiarazione de 27 giugno 2024, durante un ricevimento per la Festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti a Villa Taverna, nella quale dichiarò: “Una nuova forma di violenza subdola e strisciante si ripete in Italia e in tanti Paesi europei e occidentali, che ci riporta indietro di un secolo: è l’antisemitismo. Va battuto via per via, città per città, scuola per scuola, università per università. Non si può lasciare nessuno spazio alle idee di violenza, di odio e di persecuzione razziale che tanti danni hanno portato nel secolo scorso.Orizzonte Scuola Notizie in piena coerenza con il ddl promosso dalla Lega (ne avevamo a suo tempo parlato qui: La legge vieterà di manifestare contro Israele).

Nei fatti il genocidio del popolo palestinese continua insieme all’occupazione militare di Cisgiordania e Gaza e niente pare opporvisi efficacemente.

[1] L’area in cui è stata concentrata la maggior parte della popolazione di Gaza per accedere ai rifornimenti gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) è il sud della Striscia di Gaza, in particolare nei pressi di Rafah (come Tel al‑Sultan e il quartiere saudí), oltre che una zona centrale lungo il corridor di Netzarim/Wadi Gaza. I quattro centri di distribuzione istituiti dalla GHF si trovano in aree militarizzate nel sud e nel centro dell’enclave — un posizionamento ampiamente disallineato rispetto alla distribuzione reale della popolazione, che alcune ONG descrivono come uno dei fattori principali nell’esclusione di vaste regioni del nord dalla rete di rifornimenti.

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